N. 420 - Barriere all'investimento in TIC

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di Matteo Bugamelli e Patrizio Paganoottobre 2001

La prolungata e intensa crescita dell'economia statunitense nella seconda metà degli anni novanta, secondo molti autori, è attribuibile ai cospicui investimenti in nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC). Per l'Europa, dove mancano dati ufficiali sugli investimenti in TIC e sul relativo stock di capitale, alcuni studi hanno mostrato che la modesta crescita degli anni novanta si sarebbe effettivamente accompagnata con un ritardo nell'adozione e diffusione delle nuove tecnologie.

Questo lavoro si concentra sull'uso delle TIC in Italia. L’analisi utilizza i dati relativi a un campione di imprese manifatturiere italiane tratto dall'indagine del Mediocredito Centrale; tali dati si riferiscono al periodo 1995-97, includono circa 2.400 imprese e sono integrati con informazioni ottenute dalla Centrale dei Bilanci.

Lavori empirici su imprese statunitensi, suggeriscono che l'utilizzo delle nuove tecnologie richieda lavoratori dotati di un livello elevato di capitale umano e una riorganizzazione dell'impresa che consenta la più efficiente utilizzazione delle nuove tecnologie nei processi decisionali, nella gestione dei flussi informativi, nell'intera attività produttiva.

Questo lavoro segnala una correlazione positiva tra investimento in TIC, capitale umano e riorganizzazione anche per le imprese italiane. In particolare, emerge una forte correlazione tra scelta di investimento in TIC e riorganizzazione del processo produttivo; inoltre, l'intensità dell’investimento nelle TIC appare correlata con il livello di capitale umano della forza lavoro.

Partendo dai dati di investimento a livello di impresa viene quindi costruita una misura dello stock di capitale TIC. Nel complesso del settore manifatturiero lo stock di capitale TIC in rapporto al valore aggiunto ammontava alla fine del 1997 al 4,9 per cento, un valore equivalente a quello registrato alla fine degli anni ottanta negli Stati Uniti. L'analisi per settori mostra che tale ritardo è spiegato, almeno in parte, dalla specializzazione, in Italia più concentrata nei settori che fanno uso di tecnologie poco information intensive. Peraltro, come emerge da altre fonti, negli anni successivi al 1997 le imprese italiane hanno intensificato gli investimenti in nuove tecnologie, riducendo il divario.

La misura ottenuta per lo stock di capitale TIC consente di stimare una funzione di produzione. Ne risulta che il rendimento marginale del capitale TIC è di gran lunga superiore al suo costo d'uso. Una possibile interpretazione di questo fenomeno chiama in causa possibili barriere all'investimento in TIC, quali l'assenza di riorganizzazione e l'insufficienza del capitale umano in azienda. Tale interpretazione sembra trovare conferma nei dati. Infatti, le imprese che hanno modificato la propria organizzazione e si sono dotate di una forza lavoro sufficientemente istruita - che hanno cioè superato quelle barriere – presentano un differenziale tra rendimento e costo pressoché nullo; il differenziale rimane elevato per tutte le altre imprese. In particolare, tale differenziale positivo è quasi identico per le imprese che non hanno né riorganizzato né investito in capitale umano rispetto a quelle che hanno o solo riorganizzato o solo investito in capitale umano, confermando lo stretto legame di complementarità tra riorganizzazione del processo produttivo, investimenti in capitale umano e in TIC.

Pubblicato nel 2004 in: Applied Economics, v. 36, 20, pp. 2275-2286

Testo della pubblicazione