N. 61 - Le impugnazioni in Italia: perché le riforme non hanno funzionato?

Sistemi di impugnazione - che permettono, cioè, alla parte soccombente in un primo giudizio di chiedere il riesame della sentenza da parte di un secondo giudice - esistono pressoché in ogni paese. Molteplici sono le motivazioni teoriche che ne giustificano la presenza, gli obiettivi che intendono realizzare e gli effetti che essi producono sulle parti e sui giudici.

In generale, la possibilità per la parte soccombente di ottenere il riesame della decisione (vuoi nel merito, vuoi per i soli profili di legittimità) rappresenta uno strumento che tende ad aumentare la qualità complessiva del "prodotto" giustizia. Ciò è evidente ex post: l'esistenza di più gradi di giudizio (anziché di uno soltanto) consente di eliminare eventuali errori commessi dal primo giudice e garantisce quindi una migliore e più attenta decisione. Ma può esserlo anche ex ante: se la minaccia di impugnazione è credibile e il rischio per il giudice di 1° grado di vedere la propria decisione riformata in appello rileva anche soltanto sul piano reputazionale, ciò può agire come incentivo a una maggiore accuratezza della decisione.

Sotto altro profilo, l'analisi della disciplina delle impugnazioni - e, in particolare, dell'appello - il tasso con cui esso viene proposto, la durata e l'esito del giudizio rappresentano elementi di interesse per un'analisi sulla complessiva funzionalità della giustizia. In assenza di condizioni che alimentino una domanda di appello "patologica" (cioè giustificata da ragioni di convenienza più che dalla reale necessità di una revisione della sentenza appellata), tassi di impugnazione elevati e alte percentuali di successo (cioè di sentenze di accoglimento delle ragioni dell'appellante) forniscono indicazioni sulla qualità delle sentenze di 1° grado. Inoltre, in presenza di un esteso ricorso all'appello, la durata di questo influisce in modo determinante sui tempi complessivamente richiesti per arrivare alla res iudicata.

L'approfondimento che segue è volto a comprendere se e in che misura la disciplina del procedimento di appello nel nostro paese, come risultante dalle riforme del processo civile avviate a partire dagli inizi degli anni '90, ha influito su questi fattori e quali profili critici permangono. L'indagine si concentra - ove possibile in funzione dei dati a disposizione - sui soli procedimenti di cognizione ordinaria: ne rimangono esclusi quindi i procedimenti speciali in materia di lavoro, previdenza e assistenza e quelli relativi ai provvedimenti cautelari, sommari e esecutivi.

Il lavoro è parte di una più ampia ricerca volta a indagare le cause della crisi della giustizia civile italiana e a valutare l'importanza relativa di tre categorie di fattori che possono avere inciso negativamente sulla performance del nostro sistema giudiziario: carenze nell'offerta; eccesso di domanda; inadeguatezza delle regole processuali. Esso è articolato come segue: nel par. 1 si dà conto dei risultati emersi nella letteratura giuseconomica in ordine alla ratio della disciplina delle impugnazioni, alle sue finalità e alle ricadute che essa determina sul comportamento delle parti e dei giudici. Una breve sintesi e alcune riflessioni preliminari relativi al caso italiano sono offerte nel paragrafo 2. Nel par. 3 si riepilogano i tratti salienti della disciplina del procedimento di appello in Italia e si offrono alcuni dati in ordine all'andamento dei tassi di appello, dei reversal rates e della durata dei procedimenti; vengono inoltre fornite alcune informazioni circa lo stato e l'esito dei procedimenti civili in Cassazione. Attraverso questi dati si tenta di dare una valutazione degli effetti derivanti dalle modifiche normative apportate. Ove possibile è offerto un confronto comparato. Il par. 4 conclude.

Anche se alcuni lievi segnali di miglioramento sono visibili (soprattutto nella prima fase di applicazione della riforma), tassi di appello elevati, tempi lunghi dei giudizi e alti reversal rates connotavano e connotano tuttora il nostro sistema. Il motivo per cui il bilancio della riforma non può dirsi complessivamente positivo risiede nella circostanza che queste inefficienze sono state per lo più inquadrate come un problema di inadeguatezza delle regole processuali e/o dell'ordinamento giudiziario, circoscritto ad alcune fasi o gradi del giudizio, mentre sono stati tralasciati altri profili che viceversa appaiono importanti. Tra questi, in particolare, l'organizzazione del lavoro giudiziario e il giudizio di Cassazione: su entrambi sono intervenute riforme recenti, il cui esito potrà essere verificato col tempo.

Testo della pubblicazione