La crisi di Veneto Banca S.p.A. e Banca Popolare di Vicenza S.p.A.: Domande e risposte

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Sezione I: La crisi delle due banche venete

1. Come si è arrivati alla liquidazione delle due banche?

La crisi delle due banche venete è stata generata dalla gravissima recessione che ha colpito il Paese, ma anche da comportamenti scorretti degli amministratori e dei dirigenti. Alcuni di questi comportamenti, di particolare gravità, sono emersi negli ultimi quattro anni.

Nel caso di Veneto Banca (di seguito VB), i primi forti segnali di scadimento della situazione tecnica vennero da accertamenti ispettivi condotti nel 2013 dalla Banca d'Italia, che fecero emergere il fenomeno delle "azioni finanziate": VB non aveva dedotto dal patrimonio di vigilanza il capitale raccolto a fronte di finanziamenti da essa stessa erogati ai sottoscrittori delle sue azioni. Alla Banca Popolare di Vicenza (di seguito BPV) lo stesso abuso è stato individuato agli inizi del 2015 a seguito di un'ispezione di vigilanza, condotta da personale della Banca d'Italia sotto l'egida del Meccanismo di Vigilanza Unico (MVU)[1] per approfondire aspetti problematici emersi nel corso del 2014[2].

Per entrambe le banche la necessità di dedurre dal patrimonio di vigilanza la componente legata ai finanziamenti ai soci ha comportato un consistente impatto patrimoniale negativo; ne è conseguita una grave crisi reputazionale e di fiducia, accentuata anche dall'impossibilità per i soci di recuperare l'investimento nelle azioni delle due banche, entrambe non quotate[3], che ha influito in modo determinante sul deterioramento della situazione aziendale.

Per far fronte al deflusso di liquidità, a febbraio 2017 veniva emessa una prima tranche di obbligazioni garantite dallo Stato (ai sensi dell'art. 1 del Decreto-Legge n. 237/2016) per complessivi € 6,5 miliardi. A marzo le banche richiedevano e ottenevano l'autorizzazione a emettere una seconda tranche di obbligazioni garantite per complessivi € 3,6 miliardi. Alla data della liquidazione le banche avevano emesso obbligazioni garantite dallo Stato per 8,6 miliardi.

Il 10 febbraio scorso BPV e VB hanno presentato un complesso piano quinquennale di ristrutturazione (progetto Tiepolo) basato sulla fusione tra i due intermediari. Il piano - oggetto di confronto con la BCE già nei mesi precedenti - ipotizzava un fabbisogno patrimoniale di 4,7 miliardi necessari, tra l'altro, per assorbire le perdite derivanti dalla pulizia del portafoglio crediti e far fronte ai costi di ristrutturazione (riduzione della rete territoriale e degli organici).

Poiché non riuscivano a reperire risorse private per il finanziamento del piano, il 17 marzo scorso le due banche hanno presentato istanza di ricapitalizzazione precauzionale al Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF). Dopo mesi di confronto tra le banche, il MEF, la Banca d'Italia, la BCE e la Commissione Europea, quest'ultima ha ritenuto che non sussistessero le condizioni per autorizzare la ricapitalizzazione precauzionale (cfr. la Sezione I.5). Il 25 giugno le due banche sono state poste in liquidazione.



[1] Il MVU è il sistema europeo di vigilanza bancaria, che comprende la BCE e le autorità di vigilanza nazionali dei paesi partecipanti. Insieme al Meccanismo di risoluzione unico, il MVU è uno dei due pilastri dell'unione bancaria dell'Unione Europea.

[2] Occorre ricordare che le banche possono finanziare l'acquisto di azioni proprie, se l'operazione è autorizzata dall'assemblea straordinaria (nel rispetto delle condizioni poste dall'art. 2358 cod. civ.). Tuttavia, in questi casi le azioni non possono essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza. In anni precedenti la BPV aveva effettuato operazioni di questo tipo, ma aveva correttamente dedotto tali importi dal capitale di vigilanza.

[3] Per la tematica del prezzo delle azioni cfr. "Nota tecnica trasmessa dalla Banca d'Italia alla Commissione d'inchiesta del Consiglio Regionale del Veneto".

2. Perché le due banche non furono commissariate?

Per VB i primi segnali di scadimento della situazione tecnica vennero da accertamenti ispettivi condotti nel 2013 dalla Banca d'Italia. Le maggiori perdite allora riscontrate non erano tali da compromettere il rispetto dei requisiti minimi patrimoniali; non ricorrevano le condizioni previste dal Testo unico bancario per commissariare la banca. La vigilanza richiese l'integrale ricambio degli organi sociali e di controllo e l'avvio di un processo di integrazione, da realizzare nel più breve tempo possibile, con altro intermediario di adeguato standing. Il Consiglio di amministrazione affidò la ricerca a un advisor, che selezionò allo scopo tre banche italiane (tra cui BPV) e tre banche estere. Il successivo sondaggio dell'advisor ebbe esito negativo.

Anche nel caso della BPV non ricorrevano i presupposti del commissariamento; i primi segnali di irregolarità amministrative emersero nel 2014, quando - sulla base di evidenze cartolari - si riscontrò che la banca acquistava azioni proprie senza aver prima chiesto l'autorizzazione alla Vigilanza. La Banca d'Italia, in vista del passaggio al MVU e d'intesa con le nuove strutture europee di vigilanza inserì, tra gli obiettivi di un'ispezione programmata per l'inizio del 2015, l'analisi dell'operatività in azioni proprie della banca vicentina. Dall'ispezione emerse che il fenomeno delle "azioni finanziate" (descritto nella Sezione I.1) aveva dimensioni importanti (circa 900 milioni) ed era in gran parte riferibile al biennio 2013/2014. L'irregolarità è stata quindi scoperta a ridosso del momento in cui è stata perpetrata.

Dell'attività di vigilanza condotta dalla Banca d'Italia prima dell'avvio del MVU è stato dato conto in alcuni documenti pubblicati sul sito web della Banca d'Italia[4]. Le indagini giudiziarie oggi in corso sulle due banche hanno preso l'avvio da segnalazioni della Banca d'Italia.



[4] Cfr. http://www.bancaditalia.it/media/approfondimenti/2015/chiarimenti-popolare-vc/index.html; http://www.bancaditalia.it/media/approfondimenti/2016/lettera-commissione-veneto/index.html

3. Che ruolo ha avuto la Vigilanza della BCE?

Il MVU è operativo dal 4 novembre 2014. Da allora la Banca Centrale Europea (BCE) e la Banca d'Italia collaborano nello svolgimento della vigilanza sulle banche. È sulla base di accertamenti ispettivi condotti dalla Banca d'Italia nel 2013 (per VB; cfr. la Sezione I.2) e dal personale della Banca d'Italia sotto l'egida del MVU nel 2015 (per BPV) che sono emersi i comportamenti scorretti dei vertici di BPV e VB (cfr. le Sezioni precedenti).

A seguito di ulteriori ispezioni sono inoltre emerse perdite significative, dovute principalmente a un'elevata esposizione ai rischi, al deflusso di liquidità nonché a inadeguatezze del modello di business che, nonostante gli aumenti di capitale effettuati nel 2016, hanno comportato disallineamenti rispetto ai requisiti imposti dalla vigilanza. In più occasioni la BCE ha chiesto alle banche di porre rimedio a tali carenze e di effettuare ulteriori interventi di rafforzamento patrimoniale.

4. Che ruolo ha avuto Atlante?

A seguito dell'insuccesso delle operazioni di raccolta di capitale sul mercato lanciate da BPV e VB nella prima metà del 2016, il Fondo Atlante ha rilevato la proprietà delle due banche sottoscrivendo aumenti di capitale per complessivi 2,5 miliardi, cui si sono aggiunti ulteriori versamenti per 938 milioni alla fine del 2016. Atlante ha rinnovato la governance delle due banche sostituendo gli organi dirigenti.

Quando la raccolta di capitale sul mercato da parte delle due banche venete è fallita, l'intervento di Atlante ha evitato una liquidazione "atomistica" che avrebbe comportato costi molto elevati. Grazie al secondo intervento è stato possibile finalizzare una importante transazione con oltre il 70% degli azionisti, senza la quale i rischi legali sarebbero stati insostenibili per qualsiasi acquirente.

5. Perché si è perso tempo sull'ipotesi di ricapitalizzazione precauzionale per poi abbandonarla all'ultimo momento?

Dopo la presentazione dell'istanza per la ricapitalizzazione precauzionale, sulla base di un articolato programma di lavoro stabilito dalla Commissione Europea, è iniziato un intenso e serrato confronto tra le banche e le autorità coinvolte: la Commissione (responsabile della verifica della compatibilità delle misure con le norme europee in tema di aiuti di Stato), la BCE (autorità di supervisione competente su entrambi i gruppi bancari), il MEF e la Banca d'Italia. Il negoziato è risultato complesso e impegnativo.

L'abbandono dell'ipotesi di ricapitalizzazione precauzionale è stato determinato dalle valutazioni delle autorità europee in materia di perdite "probabili nel futuro prossimo" - un concetto introdotto dalla nuova normativa sulla gestione delle crisi, che ne impone la copertura con capitali privati - e sul piano di ristrutturazione delle due banche venete.

6. Sarebbe stato possibile ignorare le indicazioni delle autorità europee ed effettuare comunque la ricapitalizzazione precauzionale?

No. Il quadro europeo sugli aiuti di Stato vieta agli Stati membri di erogare risorse pubbliche senza l'autorizzazione della Commissione Europea. In mancanza di autorizzazione nessuna autorità, nazionale o europea, avrebbe potuto dare seguito a decisioni o contratti necessari per realizzare l'intervento pubblico, che sarebbe stato quindi tecnicamente irrealizzabile. Quand'anche l'aiuto fosse stato in concreto erogato, le banche sarebbero state poi legalmente costrette a restituire gli importi ricevuti. Di conseguenza, anche qualora l'Italia avesse agito in violazione delle regole, avviando contemporaneamente un contenzioso con la Commissione presso la Corte di Giustizia Europea, l'iniezione di capitale non avrebbe avuto l'effetto desiderato. Le regole contabili prevedono infatti che, in presenza di una significativa incertezza sull'effettiva disponibilità di capitale (derivante in questo caso dal contenzioso con la Commissione), una banca debba appostare in bilancio adeguate rettifiche di valore, che avrebbero quindi vanificato l'operazione. La risoluzione dell'eventuale controversia avrebbe richiesto tempi lunghi; nel frattempo, le banche si sarebbero trovate in una situazione di grande incertezza che ne avrebbe pregiudicato l'operatività.

Sezione II: La liquidazione coatta amministrativa e la cessione a Intesa Sanpaolo

1. Come è stata selezionata la banca acquirente?

Seguendo le consuete indicazioni della Commissione Europea è stata avviata una procedura aperta, concorrenziale, non discriminatoria, con l'ausilio di un consulente indipendente scelto dopo una gara. È stata predisposta una "data room" con i dati analitici delle due banche; cinque gruppi bancari e un gruppo assicurativo hanno fatto richiesta di accedervi. Al termine del periodo concesso sono state avanzate due offerte vincolanti: una di Unicredit, riferita soltanto a una parte molto piccola del complesso da vendere, l'altra da parte di Intesa Sanpaolo, risultata vincente. Nel complesso, pur nei ristrettissimi tempi a disposizione, la procedura ha consentito agli acquirenti potenzialmente interessati di valutare l'opportunità e di formulare una proposta. I tempi per la selezione dell'acquirente sono stati condizionati, tra l'altro, dall'evoluzione delle negoziazioni sul progetto di ricapitalizzazione precauzionale, abbandonato solo pochi giorni prima dell'avvio della procedura di selezione (cfr. le Sezioni I.1 e I.5).

2. Per quale motivo si è proceduto alla cessione in blocco pressoché totalitaria?

La cessione prevede il passaggio all'acquirente di un compendio aziendale delle due banche che include gran parte delle attività e passività. Essa consente di preservare la continuità dei rapporti economici esistenti e il valore delle aziende. L'unica alternativa a questa soluzione sarebbe stata una liquidazione "atomistica", ossia la vendita nel tempo da parte dei commissari liquidatori dei singoli cespiti aziendali. Tale opzione avrebbe imposto costi più elevati a tutti i soggetti a vario titolo coinvolti: i creditori (lo Stato e i clienti bancari, non solo azionisti e detentori di passività subordinate) e i debitori (prevalentemente piccole e medie imprese e famiglie). Cfr. la Sezione III.

3. Perché è stata rifiutata l'offerta di fondi stranieri interessati alle due banche?

Nei giorni precedenti la gara descritta nella Sezione II.1 alcuni fondi d'investimento avevano manifestato interesse per immettere capitale privato nelle due banche venete, che avrebbe potuto essere utile - in astratto - a coprire le "perdite probabili nel prossimo futuro". L'investimento prospettato non risultava tuttavia utile allo scopo, per quantità e qualità. Esso infatti, oltre ad essere inferiore all'entità delle perdite da coprire (emerse in seguito all'analisi del piano di ristrutturazione da parte delle autorità europee), sarebbe stato in prevalenza rappresentato da strumenti finanziari diversi dalle azioni e quindi non sarebbe stato utilizzabile per coprire le "perdite probabili nel prossimo futuro". Inoltre, l'elevata remunerazione richiesta dai fondi avrebbe finito con l'intaccare significativamente la redditività delle due banche (cfr. Sez. I.5).

4. In cosa si sostanziano le liquidazioni?

Le attività e le passività non acquisite da Intesa Sanpaolo resteranno nelle due banche in liquidazione (liquidazioni, per brevità): rimarranno, tra l'altro, alle liquidazioni i crediti deteriorati (sofferenze, inadempienze probabili ed esposizioni scadute), le azioni di responsabilità nei confronti degli ex esponenti aziendali delle due banche venete, le azioni, gli strumenti di capitale, le passività subordinate, oltre alle partecipazioni in BIM e Farbanca. Alcune poste, quali i crediti deteriorati, saranno peraltro oggetto di una successiva cessione a una società a partecipazione pubblica (la S.G.A.: cfr. la Sezione II.5). Secondo quanto previsto dal Testo unico bancario, i commissari liquidatori dovranno condurre la liquidazione di questi attivi e provvedere a rimborsare i creditori ripartendo il ricavato secondo l'ordine di priorità previsto dalla legge. Sono stati nominati commissari liquidatori l'avv. Alessandro Leproux, la prof.ssa Giuliana Scognamiglio e il dott. Fabrizio Viola per VB e il prof. Giustino Di Cecco, il dott. Claudio Ferrario e lo stesso Viola per BPV.

5. Che ruolo avrà la S.G.A. nella gestione della liquidazione?

I crediti deteriorati delle due banche e di alcune società da esse controllate saranno trasferiti alla S.G.A. (Società per la Gestione di Attività S.p.A.). La S.G.A., interamente controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, è una società specializzata nell'attività di recupero dei crediti deteriorati, costituita in occasione del salvataggio del Banco di Napoli nel 1997. Gli accordi prevedono che fino a quando la cessione a S.G.A. non sarà perfezionata, Intesa Sanpaolo si occuperà della gestione dei crediti deteriorati. I crediti saranno successivamente conferiti a dei "patrimoni destinati" della S.G.A., che all'attivo avranno i crediti ceduti e al passivo un debito nei confronti delle banche in liquidazione. I proventi, al netto dei costi, saranno retrocessi alle banche in liquidazione e potranno essere utilizzati per soddisfare i creditori, tra cui lo Stato, secondo l'ordine di priorità previsto dalla legge. Dall'esito dell'attività di realizzo dipenderà quindi l'entità complessiva del costo dell'intervento per lo Stato (cfr. la Sezione III.1).

S.G.A. potrà gestire i crediti deteriorati in un'ottica di recupero "paziente", perseguendo l'obiettivo del miglior realizzo su un orizzonte temporale medio-lungo. Ciò dovrebbe consentire di ottenere tassi di recupero in linea con quelli storici registrati in media dal sistema bancario, ben più alti di quelli conseguibili attraverso una cessione immediata sul mercato.

6. Cosa succede alle banche (come BIM e Farbanca) confluite nella liquidazione?

Le due banche continuano a operare regolarmente. La circostanza di essere controllate dalle liquidazioni non influisce sulla loro situazione patrimoniale o di liquidità. Le liquidazioni stanno proseguendo i contatti - già avviati dai precedenti organi aziendali delle due banche venete - con investitori interessati ad acquistare le due partecipate, e le attività propedeutiche alla cessione.

Sezione III: I costi dell'operazione e delle possibili alternative

1. Quanto pesa l'intervento pubblico sulle casse dello Stato?

L'intervento per cassa dello Stato è pari a circa 4,8 miliardi di euro. Di questi, 3,5 miliardi sono a copertura del fabbisogno di capitale generatosi in capo a Intesa in seguito all'acquisizione della "parte buona" delle attività delle due banche[5]; altri 1,3 miliardi contribuiscono alla ristrutturazione aziendale che Intesa dovrà sostenere per rispettare gli obblighi assunti nell'ambito della disciplina europea sugli aiuti di Stato. Intesa si impegna, tra l'altro, a gestire gli esuberi di personale conseguenti all'operazione, già individuati, per inciso, nell'ambito del meccanismo di ricapitalizzazione precauzionale poi abbandonato.

Lo Stato concede inoltre a Intesa una garanzia sul credito che questa vanta nei confronti delle Banche in liquidazione per lo sbilancio di cessione (5,4 miliardi elevabile fino a 6,4 miliardi). Infine lo Stato concede a Intesa garanzie a fronte di rischi di varia natura per un valore atteso (fair value) complessivo di 400 milioni (a fronte di un massimale garantito pari a circa 6 miliardi). Tali garanzie rispondono anche all'esigenza di sopperire a una serie di carenze informative che, data la rapidità con cui è stato necessario condurre l'asta competitiva, non è stato possibile colmare prima della presentazione delle offerte[6].

Il credito dello Stato per il recupero degli esborsi erogati per cassa o per l'escussione delle garanzie concesse a Intesa ha precedenza rispetto a quello degli altri creditori delle liquidazioni (fatta eccezione per i crediti prededucibili) e concorre con Intesa secondo l'ordine previsto dal DL.

Ipotizzando che il recupero sugli attivi della liquidazione sia in linea con il valore medio del tasso di recupero sulle sofferenze registrato dal sistema bancario italiano nel decennio 2006-2015, lo Stato recupererebbe il denaro investito. L'evidenza empirica disponibile indica che la percentuale di valore dei crediti deteriorati che può essere recuperata mediante un approccio "paziente" è molto più elevata di quella ottenibile cedendo questi attivi pro soluto sul mercato[7]; la S.G.A., cui sarà affidato il realizzo dei crediti deteriorati delle liquidazioni (cfr. la Sezione II.5), è adatta a un approccio "paziente"; è pertanto possibile ipotizzare tassi di recupero in linea con quelli storicamente conseguiti dalle banche italiane. Inoltre, il finanziamento concesso da Intesa alle liquidazioni ha un tasso d'interesse pari all'1 per cento, nettamente inferiore ai valori di mercato[8].



[5] Per mantenere un coefficiente patrimoniale pari a quello al 31 marzo 2017 (12,5% degli attivi ponderati per il rischio).

[6] L'importo complessivo nominale delle garanzie dello Stato (ovvero il valore massimo che lo Stato potrebbe essere chiamato a pagare) è pari a 12,4 miliardi (6,4 miliardi di valore massimo del credito erogato da Intesa alle Liquidazioni più 6 miliardi circa per le altre garanzie). Tale cifra rappresenta tuttavia uno scenario estremo, difficilmente realizzabile.

[7] Cfr. Ciocchetta et al., "I tassi di recupero delle sofferenze", Note di stabilità finanziaria N.7 del Gennaio 2017, disponibile al sito https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/note-stabilita/2017-0007/Note_di_stabilita_finanziaria_e_vigilanza_N._7.pdf.

[8] Per dettagli cfr. la relazione tecnica allegata al DL, disponibile al sito http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0053070.pdf.

2. Perché si valuta adesso un recupero tanto alto dai prestiti deteriorati, quando per le 4 banche poste in risoluzione nel novembre del 2015 è stato accettato il 18%?

Nel caso delle quattro banche poste in risoluzione nel novembre del 2015 la Commissione Europea ha imposto come condizione per autorizzare l'operazione, l'applicazione di una metodologia che comportava l'applicazione di un prezzo (18 per cento) ritenuto "di mercato" in quel momento; a questa valutazione, provvisoria, ne è seguita una definitiva, al 22 per cento. Questo prezzo risente dei rendimenti molto elevati (anche superiori al 15-20% annuo) richiesti dal ristretto numero di investitori che operano su questo mercato. La S.G.A. potrà invece attuare un recupero "paziente", coerente con valori ben superiori (cfr. la Sezione III.1).

3. Che implicazioni ci sono per i lavoratori delle due banche venete?

Il piano di integrazione delle banche venete in Intesa Sanpaolo e gli impegni da questa assunti con la Commissione prevedono una riduzione di organico di 4.000 unità e la chiusura di 600 filiali. Esuberi analoghi erano previsti anche nell'opzione della ricapitalizzazione precauzionale. Intesa ha dichiarato di voler privilegiare lo strumento dei prepensionamenti e degli incentivi all'esodo volontario, coinvolgendo anche personale della capogruppo per avere maggiori margini di flessibilità nel conseguire l'obiettivo richiesto dalla Commissione e per evitare soluzioni traumatiche.

4. Quali sarebbero stati i costi in caso di liquidazione atomistica?

La liquidazione "atomistica" sarebbe stata l'unica alternativa alla soluzione prescelta. Essa avrebbe avuto costi più elevati per tutti i soggetti coinvolti.

I costi per lo Stato. - Negli scorsi mesi le due banche avevano emesso obbligazioni assistite dalla garanzia dello Stato, ai sensi del D.L. 237 del 2016, per un ammontare complessivo di 8,6 miliardi. In caso di liquidazione "atomistica" lo Stato avrebbe dovuto immediatamente rimborsare l'intero importo ai possessori delle obbligazioni. Avrebbe poi dovuto insinuarsi nello stato passivo delle liquidazioni, concorrendo con gli altri creditori nella ripartizione dell'attivo secondo la gerarchia stabilita dalla legge fallimentare. Tenuto conto che in questo scenario la realizzazione dell'attivo sarebbe per definizione avvenuta a prezzi di liquidazione, lo Stato non sarebbe probabilmente riuscito a recuperare una parte importante del proprio credito per le garanzie escusse.

I costi per la clientela bancaria. - La liquidazione "atomistica" avrebbe implicato il rientro immediato dei crediti e il congelamento dei depositi, delle obbligazioni e delle altre passività (esclusi i depositi fino a 100.000 euro, che vengono rimborsati dal Fondo Interbancario di Tutela dei depositi), con rilevanti impatti sul tessuto economico, sull'occupazione e sul PIL. Particolarmente rilevanti sarebbero stati gli effetti per l'economia in quanto, come detto, le imprese sarebbero state costrette a rimborsare immediatamente i crediti loro concessi dalle due banche in liquidazione e avrebbero corso seri rischi di insolvenza qualora non avessero trovato altri intermediari disponibili a finanziarle. Ulteriori oneri per lo Stato sarebbero derivati dalla riduzione delle entrate fiscali e dagli interventi di sostegno sociale.

I costi per il sistema bancario. - Per il sistema bancario il costo principale sarebbe stato connesso con il finanziamento del sistema di garanzia dei depositi al fine di rimborsare i depositi assicurati. Anche in questo caso, il recupero dei fondi sarebbe stato possibile nell'ambito della procedura di liquidazione. Sarebbe dunque avvenuto in tempi lunghi e, per le ragioni menzionate, sarebbe risultato parziale.

5. Un intervento anticipato mediante risoluzione avrebbe potuto ridurre i costi?

L'avvio di una procedura di risoluzione sarebbe potuto avvenire a discrezione del Comitato di Risoluzione Unico (CRU), che in questo caso ha deciso che non ne esistessero i presupposti. Qualora il CRU avesse deciso di avviare la procedura, ne sarebbe comunque derivato l'azzeramento del valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate. La procedura avrebbe inoltre comportato l'applicazione del bail-in delle obbligazioni senior e dei depositi non protetti. Ciò avrebbe avuto costi potenzialmente molto elevati (cfr. la Sezione III.7).

6. Le obbligazioni con garanzia dello Stato emesse dalle due banche vanno a sommarsi ai costi dell’intervento pubblico? Qual è il destino di queste garanzie?

Le obbligazioni garantite dallo Stato emesse dalle due banche venete prima dell'avvio della liquidazione fanno parte del perimetro di cessione a Intesa Sanpaolo che quindi si è accollata i relativi debiti nei confronti dei possessori dei titoli. A fronte della garanzia Intesa corrisponde allo Stato una commissione periodica. Il DL prevede che Intesa possa riacquistare queste passività e rinunciare alla garanzia statale.

7. Le banche venete erano sistemiche o no? Se lo erano, perché non sono state sottoposte a risoluzione? Se non lo erano, perché hanno beneficiato di aiuti di Stato?

La normativa non definisce criteri oggettivi per stabilire la presenza o meno "dell'interesse pubblico" alla risoluzione - per valutare cioè se siano presenti significativi rischi di natura sistemica. La decisione viene presa dal CRU sulla base di una propria valutazione. Nel caso delle banche venete il CRU ha ritenuto che non vi fosse interesse pubblico considerando, tra l'altro, che l'operatività delle due banche era limitata solo ad alcune aree del territorio nazionale; il CRU ha pertanto deciso che la crisi delle due banche dovesse essere gestita a livello nazionale. Il governo italiano a sua volta ha stabilito che una liquidazione "atomistica" avrebbe comportato forti ripercussioni negative sul tessuto produttivo, di carattere sociale e occupazionale, determinando un grave turbamento dell'economia nell'area di operatività delle due banche.

Sezione IV: Impatti dell'operazione su azionisti e creditori

1. Che cosa succede agli obbligazionisti ordinari e ai depositanti?

Obbligazionisti ordinari e depositanti delle due banche sono stati trasferiti a Intesa Sanpaolo. I relativi rapporti contrattuali proseguono, quindi, senza soluzione di continuità: gli obbligazionisti ordinari riceveranno il pagamento degli interessi e il rimborso del capitale; i depositanti potranno continuare a utilizzare i propri conti correnti. Tutto funzionerà secondo le stesse modalità e alle stesse condizioni che valevano prima della liquidazione.

2. Che cosa succede agli azionisti e ai creditori subordinati?

In base agli orientamenti della Commissione europea sull'applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato (cfr. la Sezione V), gli Stati membri possono intervenire a sostegno di liquidazioni bancarie solo a condizione che ad azionisti e creditori subordinati sia stato imposto il burden sharing, vale a dire, l'assorbimento delle perdite nella massima misura necessaria. Pertanto, nel caso specifico, le azioni e le obbligazioni subordinate delle due banche non vengono trasferite a Intesa, ma rimangono nella liquidazione. In concreto - per effetto delle ingenti perdite accumulate dalle due banche e del fatto che lo Stato, a fronte dell'esborso per cassa e delle garanzie verso Intesa, si inserisce nel passivo della liquidazione e viene soddisfatto prima degli azionisti e dei creditori subordinati - le liquidazioni non disporranno con tutta probabilità di risorse sufficienti a soddisfare le pretese di azionisti e creditori subordinati.

3. Come funziona il meccanismo di ristoro per gli obbligazionisti subordinati al dettaglio?

È previsto un meccanismo di ristoro per i piccoli investitori (persone fisiche, imprenditori individuali, imprenditori agricoli e coltivatori diretti) che hanno sottoscritto o acquistato obbligazioni subordinate direttamente dalle due banche in liquidazione prima del 12 giugno 2014 (data di pubblicazione della direttiva BRRD) e ne hanno conservato la titolarità fino all'avvio della liquidazione. Il meccanismo, a carico del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositanti, è analogo a quello applicato nel caso delle quattro banche poste in risoluzione nel novembre 2015; si differenzia, invece, dal meccanismo di ristoro previsto dal Decreto legge 23 dicembre 2016, n. 237, il quale presupponeva un accordo transattivo tra banca e investitore.

Gli obbligazionisti subordinati al dettaglio possono alternativamente accedere a:

  • una procedura arbitrale per accertare la violazione, da parte della banca emittente, degli obblighi di commercializzazione (informazione, diligenza, correttezza e trasparenza) previsti dalla legge. Se viene verificata la violazione, l'investitore potrà recuperare tutto il proprio investimento al netto di oneri, spese e differenziali di rendimento;
  • un meccanismo di indennizzo forfettario attraverso il quale viene corrisposto circa l'80% del corrispettivo pagato per l'acquisto delle obbligazioni. L'indennizzo forfettario è riservato agli investitori che nel 2014 avevano un patrimonio mobiliare inferiore a 100.000 euro o hanno dichiarato un reddito imponibile inferiore a 35.000 euro. L'istanza di erogazione dell'indennizzo forfettario deve essere presentata entro il 30 settembre 2017. Intesa ha inoltre manifestato la disponibilità a farsi carico del rimborso del restante 20%.

Sezione V: Inquadramento normativo dell'operazione

1. Sono state rispettate le regole dell'Unione bancaria e quelle sugli aiuti di Stato?

La procedura seguita ha assicurato il pieno rispetto delle regole e delle procedure in materia di Unione bancaria e aiuti di Stato. In base al regolamento europeo istitutivo del MRU, se la Banca Centrale Europea accerta che una banca si trova "in stato di dissesto o di rischio di dissesto", il Comitato di Risoluzione Unico (l'organo deliberante del CRU) deve verificare se ci sono misure alternative di mercato o di vigilanza che consentano di superare questa situazione e, in caso negativo, se avviare una procedura di risoluzione. Nel caso delle due banche venete il CRU ha deciso che non sussistevano i presupposti per la risoluzione, data, in particolare, l'assenza dell'obiettivo dell'interesse pubblico (in questa decisione ha pesato la considerazione che l'operatività delle due banche fosse concentrata solo in alcune zone del territorio nazionale; cfr. Sezione III). Di conseguenza, in linea con quanto previsto dalle stesse regole europee, è stata attivata la procedura ordinaria di insolvenza prevista dalla disciplina nazionale, ossia la liquidazione coatta amministrativa.

Secondo alcuni osservatori la decisione di attivare un intervento pubblico a favore delle due banche venete non è coerente con lo spirito della regolamentazione europea che avrebbe richiesto l'uso di risorse interne (il bail-in) e non di fondi pubblici. Tale considerazione trascura il fatto che i rischi di una crisi bancaria dovrebbero ricadere su creditori che hanno assunto consapevolmente il rischio mentre il modo e i tempi con cui la direttiva BRRD è stata implementata hanno de facto impedito che ciò accadesse. In particolare, non è stato possibile costituire un cuscinetto di passività contrattualmente adeguate a soddisfare questo principio. Le autorità italiane hanno ripetutamente richiesto che la normativa fosse attuata con gradualità, e che le passività soggette a bail-in fossero di nuova emissione (evitando quindi effetti su quelle già in circolazione) e contraddistinte da esplicite clausole contrattuali di subordinazione. Importanti carenze normative su questo fronte sono ancora presenti: la regolamentazione di strumenti come i titoli senior unpreferred è tuttora oggetto di discussione a livello europeo, mentre sarebbe stato opportuno armonizzare per tempo la disciplina di questi strumenti così da consentirne l'emissione prima di rendere operativa la normativa sul bail-in.

2. Perché è stato possibile erogare un aiuto di Stato?

In base al Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, la Commissione Europea può ritenere compatibile con il mercato interno gli aiuti di Stato destinati "a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro". È una valutazione discrezionale, non necessariamente coincidente con quella relativa alla sussistenza del requisito dell'interesse pubblico rilevante ai fini della risoluzione, rimessa al Comitato di Risoluzione Unico. La Commissione Europea ha previsto che gli Stati membri possano effettuare interventi pubblici nell'ambito delle procedure nazionali di liquidazione se ciò è necessario ad assicurarne l'ordinato svolgimento e per contenere la distruzione di valore ad esse connesse (Banking Communication del 2013). Dal punto di vista della tutela della parità concorrenziale, il sostegno pubblico a un soggetto in liquidazione, che dunque esce dal mercato, pone problemi minori rispetto al caso di un soggetto che rimane in attività e che quindi avrebbe un vantaggio rispetto ai propri concorrenti. La Commissione richiede tuttavia in questo caso che ricorrano, tra l'altro, le seguenti condizioni: azionisti e creditori subordinati devono partecipare alla condivisione degli oneri (burden sharing); inoltre, se nella liquidazione è prevista la cessione in blocco di attività e passività della banca in crisi, l'acquirente deve essere selezionato mediante una procedura aperta, concorrenziale e non discriminatoria, in modo da individuare l'offerta più conveniente e minimizzare così l'impatto sulle finanze pubbliche.

Poiché entrambe queste condizioni sono state rispettate nel caso della liquidazione delle banche venete, la Commissione Europea ha ritenuto che sussistessero gli estremi per autorizzare l'intervento pubblico.

3. Perché è stato necessario adottare deroghe alla disciplina ordinaria?

Di regola, per perfezionare operazioni di cessione complesse come quella relativa alle due banche venete, è necessario svolgere preliminarmente numerosi adempimenti di carattere procedurale previsti dalla legge. I tempi per lo svolgimento di questi adempimenti non sarebbero stati compatibili con l'esigenza di concludere l'operazione in un fine settimana, prima della riapertura degli sportelli. È stato quindi necessario introdurre alcune deroghe al regime ordinario applicabile alle operazioni di cessione. Le principali deroghe hanno riguardato, in particolare:

  • il regime autorizzatorio: è stato disapplicato l'obbligo per i commissari liquidatori di acquisire l'autorizzazione della Banca d'Italia e il parere del comitato di sorveglianza per effettuare l'operazione di cessione;
  • il regime pubblicitario: sono stati disapplicati gli obblighi di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale o nel registro delle imprese ed è stato invece previsto un regime pubblicitario più celere (pubblicazione sul sito internet della Banca d'Italia). Intesa dovrà comunque svolgere tutti gli adempimenti pubblicitari previsti dalla legge successivamente alla cessione;
  • il regime di circolazione dei beni immobili: sono state disattivate le ipotesi di prelazione previste dalle leggi speciali in materia agraria o locatizia, che avrebbero richiesto di effettuare la cessione solo dopo lo spirare del termine per l'esercizio dei diritti di prelazione. È stato inoltre derogato il divieto di trasferire immobili privi della licenza o della concessione a edificare o della concessione rilasciata in sanatoria; l'acquirente, tuttavia, subentra nella medesima situazione giuridica del cedente, anche per quanto riguarda eventuali obblighi di demolizione o di ripristino dello stato dei luoghi.

4. Qual è la differenza tra il caso delle due banche venete e quello del Banco Popular Espanol?

Nel caso del Banco Popular Espanol il Comitato di Risoluzione Unico ha valutato la sussistenza dei presupposti per la risoluzione, e in particolare quello dell'interesse pubblico, giudicato assente nel caso delle banche venete. La differenza può essere dovuta alla diversa dimensione (circa 170 miliardi di totale attivo per la banca spagnola, circa 55 per la somma delle due banche venete) e distribuzione territoriale delle banche. Le diverse scelte degli acquirenti possono essere imputabili a numerosi fattori, quali diversità nelle condizioni delle banche da acquisire o differenze nel contesto macroeconomico. Sia nel caso spagnolo sia in quello delle banche venete il prezzo di acquisto pagato dagli acquirenti (1 euro) ha determinato l’azzeramento del valore delle azioni e dei titoli subordinati, mentre non si sono registrate conseguenze per gli altri creditori.