La crisi di Banca delle Marche

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Premessa

Per meglio comprendere lo svolgimento dei fatti che hanno portato alla crisi di Banca delle Marche e alla soluzione che vi è stata data, conviene innanzitutto ripercorrere il modo in cui, nelle prassi di vigilanza, viene gestita la situazione di una banca in difficoltà e poi quali novità ha portato la normativa europea sulle crisi bancarie introdotta dal 2013-2014.

Una situazione problematica in una banca emerge generalmente a seguito di una ispezione della Vigilanza, disposta in via ordinaria o per ragioni speciali quali l’esito negativo di analisi “a distanza”, eventi giudiziari o informazioni esterne.

Se essa rivela seri problemi (ad esempio, cattiva organizzazione, pratiche inadeguate o violazioni di norme e regolamenti nel valutare le richieste di credito), ma la banca ispezionata rispetta i requisiti patrimoniali, il passo successivo consiste in una comunicazione formale al Consiglio di Amministrazione (CdA) della banca, mediante una cosiddetta “lettera di intervento”, contestuale alla consegna del rapporto ispettivo, in cui si elencano i provvedimenti correttivi da adottare. Questi variano a seconda delle carenze riscontrate: misure di contenimento del rischio (limiti all’erogazione del credito e all’espansione territoriale, maggiori requisiti di capitale, e così via), richieste  di sostituzione degli esponenti aziendali, di revisione del piano industriale, di aumento del capitale, di aggregazione con un’altra banca.

Se la Vigilanza ha successivamente motivo di ritenere che le misure correttive non siano state attuate dalla banca o siano insufficienti, fa in genere  seguire altre azioni (quali nuove  ispezioni o lettere di intervento). Quando tali azioni non appaiono risolutive dei problemi, almeno in prospettiva, e si manifesta il rischio di un ulteriore peggioramento, si dà luogo  a un’ispezione i cui esiti saranno determinanti per la successiva azione di vigilanza e che si rivelerà quindi “decisiva”.

Se questa conferma un effettivo peggioramento della situazione, che succede? Qui bisogna distinguere l’assetto normativo in vigore in Italia fino al 15 novembre 2015 e quello in vigore oggi, aderente alla nuova normativa europea.

Nell’assetto precedente, la Vigilanza valutava se sussistessero i presupposti di legge per avviare il commissariamento della  banca (“amministrazione straordinaria”): previsione di gravi perdite patrimoniali e/o gravi irregolarità/violazioni normative, tali ad esempio da avere compromesso la funzionalità dell’assetto di governo della banca, minacciandone la stabilità.

Se si giungeva alla conclusione che vi fossero i presupposti per l’amministrazione straordinaria, la Banca d’Italia  procedeva a chiedere al Ministro dell’economia e delle finanze di disporre, con proprio decreto, il commissariamento: il CdA e il Collegio sindacale venivano sciolti e sostituiti da Commissari straordinari e da un Comitato di sorveglianza appositamente nominati. Compito dei Commissari era quello di accertare se la banca potesse essere restituita alla normalità,  anche attraverso una fusione con un altro intermediario, oppure dovesse essere  posta in liquidazione.

In generale, sia ieri sia oggi, ogni volta che un’ispezione fa emergere ipotesi di irregolarità amministrative commesse da singoli esponenti si inizia anche un procedimento sanzionatorio a loro carico. In presenza di vere e proprie  ipotesi di reato, si invia il rapporto ispettivo alla Procura competente per le sue valutazioni.

La disciplina in materia di gestione delle crisi bancarie è stata modificata dai decreti legislativi 180 e 181, pubblicati in G.U. il 16 novembre del 2015, che hanno dato attuazione in Italia alla Direttiva europea sul risanamento e la risoluzione delle banche (Bank Recovery and Resolution Directive, BRRD, deliberata dal Consiglio e dal Parlamento europei nel maggio del 2014).

La BRRD era stata preceduta nell’agosto del 2013 da una Comunicazione della Commissione europea sul tema degli “aiuti di Stato” nel settore bancario. Questa aveva stabilito il principio secondo cui qualunque intervento pubblico nella gestione di una crisi bancaria dovesse essere preceduto dalla “condivisione dell’onere” da parte di azionisti e obbligazionisti subordinati della banca (burden sharing), un concetto analogo, sebbene più ristretto, a quello di bail-in successivamente introdotto dalla BRRD.

La BRRD stabilisce il principio generale secondo cui una banca “in dissesto” o “probabilmente in dissesto” possa, se ricorre un “interesse pubblico”, essere salvata, ma che questo possa farsi solo dopo che azionisti, obbligazionisti di ogni tipo e anche depositanti non protetti da schemi di garanzia abbiano coperto tutte le perdite: quindi, un “salvataggio dall’interno” (bail-in). Se le risorse interne non bastano, si fa ricorso a un apposito Fondo di Risoluzione, alimentato da contributi di tutte le altre banche del sistema. Quindi, asse portante della BRRD è che mai si debba fare ricorso a risorse finanziarie pubbliche, cioè al denaro del contribuente. Tutti gli oneri vanno addossati a soggetti privati: i proprietari (azionisti) e creditori della banca, esclusi i depositanti protetti; tutte le altre banche del sistema.

Il principio del bail-in è entrato in vigore, nei paesi che avevano recepito la BRRD negli ordinamenti nazionali, dall’inizio di quest’anno. Fino a tutto lo scorso anno si applicava l’impianto generale della BRRD, ma col solo burden sharing (che avrebbe coinvolto nell’assorbimento delle perdite solo gli azionisti e i titolari di obbligazioni subordinate computabili nel capitale della banca). In Italia,  la finestra temporale per poter salvare una banca in crisi secondo la BRRD “leggera” (burden sharing anziché bail-in) andava dal 16 novembre 2015 (data di recepimento della BRRD nell’ordinamento italiano) al 31 dicembre. Prima del 16 novembre, l’unico strumento usabile, in caso di perdite o di irregolarità gravissime, sarebbe stata la liquidazione coatta amministrativa, che avrebbe chiuso definitivamente la banca in crisi e posto termine a ogni suo rapporto operativo (bancomat, sportelli, prestiti), con ogni tipo di clientela: depositanti, imprese e famiglie beneficiare di prestiti, eccetera. Dopo il 31 dicembre si sarebbe invece  applicato il bail-in pieno.

La “risoluzione” di una crisi bancaria prevista dalla BRRD può avvenire in diversi modi; se c’è subito un acquirente, si può procedere alla cessione ad esso di attività e passività della banca risolta; un’altra modalità prevede che la parte “buona” della banca venga ceduta a una nuova banca-ponte (bridge bank), destinata però a essere venduta sul mercato al più presto, mentre la parte “cattiva” è ceduta a una “bad bank” che cercherà di recuperare quel che può. La vecchia banca, svuotata di quasi tutto il suo contenuto (residual entity), viene posta in liquidazione.

Il caso Banca delle Marche

Nel caso di Banca delle Marche le cose sono andate così.

Ispezione che rivela i primi seri problemi. Fra il 2010 e l’inizio del 2011 furono condotte, in rapida successione, tre ispezioni, ciascuna mirata a esaminare un aspetto specifico della gestione; per ciascuna di esse gli ispettori espressero un giudizio “parzialmente sfavorevole” (4 in una scala di negatività crescente da 1 a 6).

Intervento. Le interlocuzioni con gli amministratori e il management aumentarono progressivamente a partire dal 2012, con un accentuarsi di richieste da parte della Vigilanza perché si ponesse riparo ai problemi rilevati. Fu chiesto, in particolare, di portare il rapporto tra impieghi e depositi su valori più prudenti e di valutare un aumento di capitale, che venne attuato per 180  milioni nei primi mesi del 2012. La Consob, che autorizzò la pubblicazione del relativo prospetto informativo, era stata sinteticamente informata a fine dicembre 2011 dell’esito delle tre ispezioni, sulla base del quale la Vigilanza chiese poi alla banca, ai primi di gennaio 2012, incisivi interventi correttivi. L’emersione, nell’ambito di un’ispezione su un diverso intermediario, di operazioni anomale a carico del Direttore generale, portò a richiedere alla banca, nel giugno 2012, di accelerarne il processo di sostituzione, avvenuto in settembre.

Ispezione decisiva.  Nel novembre 2012 fu inviata una nuova ispezione per valutare  l’adeguatezza degli accantonamenti a fronte del rischio di credito; giudicato largamente insufficiente lo sforzo correttivo della banca, l’ispezione venne estesa nel marzo 2013 agli altri profili di rischio, concludendosi, nel settembre 2013, con un giudizio complessivo sfavorevole (6 in una scala da 1 a 6). La Consob fu informata anche in questo caso dell’esito dell’ispezione.

Procedimento sanzionatorio. Un primo procedimento sanzionatorio fu avviato a seguito dell’ispezione del 2010 e si concluse nel settembre 2011 con l’irrogazione di sanzioni nei confronti di 17 esponenti per un totale di 208.000  euro. Per le irregolarità rilevate nel corso dell’ispezione del 2013 si aprì nell’autunno del 2013 un nuovo procedimento sanzionatorio, che si concluse nell’agosto 2014 con l’irrogazione di sanzioni pecuniarie a carico di 18 esponenti ed ex esponenti per un totale di 4,2 milioni.

Invio del rapporto ispettivo alla magistratura. A conclusione dell’ispezione del 2013, il relativo rapporto fu trasmesso alla Procura di Ancona, con la quale fu avviata una intensa collaborazione. All’Autorità giudiziaria erano stati in precedenza trasmessi anche i rapporti sulle ispezioni del 2010-2011.

Commissariamento. Alla luce di una relazione interlocutoria degli ispettori del 27 agosto 2013, che mostrava gravi perdite patrimoniali e gravi irregolarità, la Banca venne posta in gestione provvisoria il giorno successivo e, su proposta della Banca d’Italia, il MEF ne dispose il commissariamento il 15 ottobre 2013.

I commissari straordinari si adoperarono fin dal loro insediamento per trovare una soluzione di mercato alla crisi di Banca delle Marche, ricercando acquirenti, inizialmente anche con l’assistenza di due advisor (IMI e Unicredit). Dopo un infruttuoso sondaggio del mercato questi ultimi rinunciarono all’incarico.

Ipotesi di intervento del FITD. Nel giugno 2014 i Commissari di Banca delle Marche ricevettero una manifestazione di interesse del Credito Fondiario (Fonspa) a partecipare a un’operazione di salvataggio che si basava sul conferimento a un veicolo di buona parte dei crediti deteriorati della banca (2,7 miliardi), in vista di una cartolarizzazione degli stessi, e su un aumento di capitale che consentisse alla banca di rispettare i requisiti di Vigilanza. Nel luglio 2014 il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) deliberò di contribuire al piano di risanamento attraverso il rilascio di una garanzia di 800 milioni a fronte dell’operazione di cartolarizzazione dei crediti deteriorati e l’assuzione di una partecipazione fino a 100 milioni all’aumento di capitale. Nell’ottobre del 2014 la Direzione Generale Concorrenza (DGC) della Commissione UE avanzò una richiesta di informazioni riguardo a tale intervento e a un precedente analogo intervento del FITD a favore di Banca Tercas, ipotizzando che si potesse trattare di aiuti di Stato. Gli uffici del MEF avviarono di conseguenza una consultazione con la DGC, con il supporto tecnico della Banca d’Italia.

La consultazione, avvenuta con intensi scambi di email e numerose visite a Bruxelles di funzionari italiani, si protrasse per mesi, nella convinzione, da parte delle autorità italiane, che l’ipotesi di aiuto di Stato fosse infondata e che di ciò si potesse convincere la DCG. Acquisire l’assenso preventivo di questa era d’altro canto indispensabile. Se si fosse proceduto comunque, l’avvio formale di un contenzioso con la Commissione UE, da portare innanzi alla Corte di Giustizia europea, avrebbe prodotto effetti negativi immediati: le specifiche norme contabili internazionali che si applicano alle banche avrebbero imposto accantonamenti prudenziali pari all’intervento del FITD, vanificandone l’utilità; l’Autorità di vigilanza europea (BCE nell’ambito del Single Supervisory Mechanism) non avrebbe presumibilmente dato il suo assenso alla ricapitalizzazione; l’incertezza legale avrebbe tenuti lontani eventuali acquirenti che potevano interessati a una banca nel frattempo ricapitalizzata.

L’atteggiamento degli uffici della DGC rimase pervicacemente di rifiuto dell’intervento del FITD, anche in una forma “con burden sharing” da ultimo prefigurata, che avrebbe comunque consentito una soluzione molto meno traumatica di quella infine prevalsa. Questo atteggiamento fu confermato ufficialmente al più alto livello in una lettera dei Commissari Hill e Vestager del 19 novembre 2015.

La soluzione della crisi. Il 21 novembre 2015 Banca delle Marche (insieme con le altre tre note banche) venne assoggettata alla procedura prevista dalla BRRD, come recepita solo cinque giorni prima nell’ordinamento italiano (vedi sopra). Non si poteva attendere di più, date le tensioni di liquidità che avevano preso corpo a causa delle incertezze e dei timori che si andavano diffondendo fra i depositanti sulla sorte di quelle banche.

Nei pochi giorni fino a domenica 22 inclusa, in cui si dovettero mettere a punto i dettagli amministrativi della quadruplice operazione, venne condotta, da parte degli uffici del MEF (sempre con il supporto della Banca d’Italia) un’altra consultazione via email e telefono con la DGC sul valore da attribuire alle “sofferenze” (crediti fortemente deteriorati) da cedere alla bad bank appositamente costituita, che rispettasse ad avviso della stessa DGC la disciplina sugli aiuti di Stato. La DGC indicò come accettabile una valutazione media del 25 per cento del valore di libro per i crediti assistiti da garanzie e dell’8 per cento per quelli non garantiti (media ponderata 17,6), facendo riferimento a precedenti interventi di risoluzione effettuati in altri paesi membri dell’Unione, specificamente in Slovenia. Fu necessario adottare quella valutazione per ottenere il riconoscimento da parte della Commissione della conformità dell’operazione alla disciplina degli aiuti di Stato, a cui la BCE intendeva a sua volta subordinare l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria da parte delle banche-ponte.

Quella valutazione non può essere considerata un benchmark nel mercato dei crediti deteriorati: i valori veri di recupero possono essere accertati solo analiticamente, caso per caso. Di ciò ha dato atto lo stesso Commissario alla Concorrenza Vestager nel corso di una recente audizione alla Commissione Problemi economici e monetari del Parlamento europeo sul caso delle quattro banche italiane, nella quale ha affermato che il motivo delle forti svalutazioni volute dalla Commissione è da ricercare nella difficoltà di valutare sotto la pressione dell’urgenza cespiti per i quali non c’è mercato. In ogni caso, a tali valutazioni effettuate in via provvisoria seguirà a breve quella definitiva, affidata a un esperto indipendente, secondo quanto stabilito dalla BRRD e dalla disciplina italiana di recepimento.

Queste valutazioni si discostano da quelle contabili, che non prevedono una contestuale cessione delle sofferenze; nel caso in esame le rettifiche apportate nel corso dell’attività di accertamento durante l’amministrazione straordinaria avevano comportato la riduzione del valore netto del credito in sofferenza a circa il 43% del valore originario.

Dovendo risolvere simultaneamente la crisi di quattro banche, si decise di costituire una sola bad bank per tutte e quattro, per ovvie ragioni di economicità amministrativa e di sinergia nell’attività di gestione e recupero dei crediti in sofferenza ceduti, con il fine di massimizzare il risultato.

La BRRD e la legge italiana di recepimento non lasciavano all’Autorità di Risoluzione (in Italia inquadrata nella Banca d’Italia) alcun margine di discrezionalità nel decidere l’entità del sacrificio che doveva essere sopportato dagli azionisti e dai titolari di obbligazioni subordinate, i quali erano tenuti a coprire tutte le perdite.

Tutte le obbligazioni subordinate scadute prima della data di risoluzione sono state rimborsate alle scadenze previste dai rispettivi contratti. Il rendimento nominale relativo alle emissioni di titoli subordinati effettuate da Banca delle Marche negli ultimi 5 anni (tutte precedenti la data di avvio dell'amministrazione straordinaria) è stato pari in media all'8%.

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Questa nota riprende in parte i documenti disponibili nei siti web della Banca d’Italia e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, a cui si fa rinvio per ogni ulteriore dettaglio.

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