Motivazioni alla base della detenzione di oro

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L'oro ha storicamente rappresentato uno strumento per misurare il valore dei beni ed è stato per questo utilizzato come mezzo di pagamento in quasi tutte le antiche civiltà. Tale proprietà è legata soprattutto alla scarsità dell'oro, in quanto elemento particolarmente raro in natura. Le più recenti analisi stimano che fino ad oggi sono state estratte circa 183.600 tonnellate di oro (fonte World Gold Council), che in termini volumetrici equivarrebbero ad un cubo di 21 metri per lato, mentre rimarrebbero da estrarre circa 50.000 tonnellate (secondo la US Geological Survey) con il numero di nuove miniere in costante riduzione. Una parte del valore dell'oro è da legare anche alle caratteristiche chimiche del metallo sia in termini di duttilità e malleabilità sia, soprattutto, di resistenza a fattori esogeni quali l'ossigeno e reagenti chimici. Quest'ultima caratteristica impedisce il deterioramento e rende l'oro facile da custodire per lunghi periodi.

L'oro rappresenta un efficace strumento di copertura contro eventi avversi. Il prezzo del metallo prezioso tende infatti a salire nei momenti in cui gli operatori finanziari percepiscono un elevato livello di rischio, ad esempio escalation militari o, più spesso, in situazioni di crisi finanziarie. In scenari di questo tipo gli strumenti finanziari, soprattutto quelli che sono caratterizzati da un elevato livello di rischio (ad esempio le azioni) mostrano consistenti ribassi, mentre l'oro tende a far registrare incrementi di prezzo. La presenza di un adeguato ammontare di oro nei portafogli finanziari garantisce quindi protezione contro scenari considerati molto rischiosi, sebbene poco probabili. Tale funzione protettiva è stata particolarmente evidente nel corso degli ultimi anni. A fronte, infatti, di generalizzati timori sulla tenuta del sistema finanziario nel 2008-2009 e sulla stabilità dell'area euro nel 2011-2012, la performance dell'oro è stata particolarmente positiva e ha contribuito a determinare un consistente incremento della relativa riserva patrimoniale da rivalutazione destinata ad accogliere gli incrementi di valore delle riserve auree.

Tra le altre caratteristiche che giustificano una consistente esposizione verso l'oro va menzionato il presidio che il metallo prezioso garantisce nei confronti di aumenti eccessivi dell'inflazione , in quanto tende a preservare il proprio valore nel tempo. Infine l'oro, al contrario delle valute, non può essere svalutato o perdere valore a seguito di crisi di fiducia. In tal senso, in situazioni di crisi valutarie, una banca centrale può disporre dell'oro, al pari delle riserve ufficiali in valuta estera, per preservare la fiducia nella valuta domestica tramite un utilizzo dell'oro come garanzia per ottenere prestiti o, in ultima istanza, tramite vendita sul mercato per acquistare la valuta domestica così da sostenerne il valore. Un considerevole ammontare di oro garantisce ad una banca centrale una più elevata capacità di azione nel preservare la fiducia del sistema finanziario nazionale.

Tali caratteristiche uniche dell'oro hanno ovviamente dei costi finanziari. L'oro, infatti, comporta costi per la sua conservazione in termini di sicurezza e di custodia.Inoltre non garantisce nessun interesse e quindi la proprietà di un ammontare consistente comporta la rinuncia all'interesse che maturerebbe su titoli di debito con simili proprietà di copertura. È necessario però considerare che tali altri titoli sono comunque caratterizzati da un valore fiduciario che potrebbe venire meno in caso di crisi di fiducia di carattere sistemico, compromettendone le proprietà di diversificazione. L'oro, al contrario, non è un'attività "emessa" da un Governo o da una banca centrale e quindi non è soggetta alla solvibilità dell'emittente.

Infine, una parte dell'oro deve essere detenuta cautelativamente al fine di soddisfare eventuali richieste da parte della BCE di ulteriori conferimenti di valute (tra cui dollari statunitensi e yen giapponesi) e, per l'appunto, oro. Tali richieste devono essere soddisfatte dalle banche centrali in ragione della propria quota di sottoscrizione del capitale sociale della BCE (la Banca d'Italia detiene una quota parti al 12,31% del capitale).