Palazzo della sede di Firenze

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Cenni storici

Chi si fosse trovato a passare per quella strada che oggi chiamiamo via dell'Oriuolo nella prima metà dell'Ottocento non avrebbe certo immaginato quanto profondamente sarebbe cambiata nel volgere di pochi decenni.

Allora la strada si sviluppava da via Fiesolana (la piazza Gaetano Salvemini sarebbe stata definita solo nel 1936 con le demolizioni decretate nell'ambito del cantiere per il "risanamento" del quartiere di Santa Croce) e prendeva la denominazione di via dello Sprone, evidentemente in riferimento alla forca determinata con via Sant'Egidio. Proseguiva poi con la titolazione di via dell'Oriuolo, affermatasi presumibilmente alla fine del Quattrocento in ragione del fatto che in un'officina lungo quel tratto di strada era stato fabbricato da Nicolò di Bernardo di San Friano, nel 1353, il primo orologio pubblico (nell'uso fiorentino oriuolo) destinato alla torre del Palazzo Vecchio. Il tratto successivo, da via Folco Portinari a piazza del Duomo - dove ora è appunto il palazzo della Banca d'Italia - era indicato invece con il nome di via Buia, a dare conto di una strozzatura che limitava fortemente l'irraggiamento solare e che non consentiva nemmeno il passaggio di due carrozze affiancate. Guido Carocci, nel suo "Firenze scomparsa" (1897), la ricordava non a caso come "una fessura", tanto che "una volta penetrati là dentro nel sollevare lo sguardo al cielo si vedeva appena una striscia meschina di cielo".

Disegno di Emilio Burci, 1840, del muro di cinta del giardino dei Pazzi e disegno di progetto depositato in Comune relativo allo spostamento del muro di cinta del giardino dei Pazzi per l'allargamento di via Buia, poi via dell'Oriuolo

Su tale situazione si era intervenuti ampliando e rettificando la strada tra il 1860 e il 1861 su progetto dell'ingegnere comunale Federico Gatteschi, il che aveva consentito di aprire il tratto alla luce e alla visione della zona absidale della Cattedrale, oltre che a ridisegnare in senso moderno gli edifici in fregio alla via. Negli anni di Firenze Capitale ci si era così trovati a disporre di una zona centralissima, ancora interessata da lavori, sostanzialmente "nuova" e che bene si prestava ad accogliere uno degli edifici più rappresentativi del nascente Regno d'Italia: la prima sede centrale della Banca Nazionale, istituita nel 1859, e che nel 1893 sarebbe diventata Banca d'Italia.

Il grande edificio sorse nell'area occupata in antico dal così detto orto o paradiso de' Pazzi, un giardino con annessi al quale si accedeva da un portale sormontato da uno scudo con l'arme di famiglia realizzato da Donatello, che si estendeva da quest'ultimo tratto della via dell'Oriuolo fino a borgo degli Albizi. Il progetto, com'è noto, fu affidato ad Antonio Cipolla (napoletano ma formatosi come architetto a Roma), che si ispirò all'architettura cinque-seicentesca, sia per inserirsi in un contesto storico fortemente segnato da edifici di questo periodo, sia in ossequio a un gusto del tempo che, anche al di fuori di Firenze, identificava lo stile neorinascimentale come particolarmente consono agli edifici bancari, esprimendo solidità, austerità e severità.

Antonio Cipolla, architetto del Risorgimento

Antonio Cipolla (Napoli 1823-Roma 1874), dopo la formazione napoletana, nel 1845 si trasferisce a Roma dove prosegue i suoi studi come pensionato borbonico dell'Accademia di Belle Arti. Tre anni più tardi, la Patria lo chiama alla prima guerra d'indipendenza e combatte con le truppe napoletane nel Veneto. Lavorerà per committenze privilegiate in Lombardia, Emilia, Lazio e Toscana; morirà nel 1874, quattro anni dopo la conquista di Roma. La sua vita personale e professionale restituisce un uomo che incarna a pieno la cultura del Risorgimento e che parteciperà da protagonista al dibattito architettonico del proprio tempo.

Particolare del ritratto di Antonio Cipolla (Carlo De Paris, 1851, olio su tela)

Quando riceve l'incarico fiorentino ha già lavorato in molte regioni italiane dove ha maturato un'esperienza di tipologie urbane come, chiese e stazioni ma, soprattutto, ha già realizzato la Banca Nazionale di Bologna in piazza Cavour e ha già vinto il concorso per la Cassa di Risparmio di Roma in via del Corso. È un architetto affermato, tanto che nel 1865 riceve l'invito a partecipare a uno dei maggiori concorsi del tempo e cioè, il progetto per la facciata di S. Maria del Fiore, che sarà vinto dal De Fabris.

Firenze rappresenta però la sua prima grande occasione professionale, a cui dedica il massimo impegno progettuale, dalla composizione del fronte urbano fino al design degli interni, dando vita a un capolavoro dell'Ecclettismo ottocentesco, evidente nell'impianto cinquecentesco, a cui si sovrappongono altri motivi del linguaggio classico e regionale.

Con questo spirito e in sintonia con il clima della Roma papalina di metà Ottocento, Antonio Cipolla sceglierà, per la prima Banca del Regno d'Italia, lo stile neo-rinascimentale in grado di comunicare i valori della nascente Unità Nazionale e i principi di solidità, severità e sobrietà, a cui aspirava il programma della Banca, che così esprimeva i suoi desiderata: "Il Palazzo sarà di stile severo e solido senza profusione di decorazioni, ornamenti". Un'indicazione fondamentale che il Cipolla interpreta con un'opera rigorosa, severa e monumentale al tempo stesso, la cui forza espressiva avrebbe avuto bisogno di maggiore spazialità urbana per dare profondità prospettica allo scenografico fronte.

Il nuovo Palazzo fu acclamato come la prima "grande opera" fiorentina, tanto che, nel 1875, nella sua guida artistica di Firenze, Emilio Burci scrive: "Uscendo dallo Spedale e prendendo la via in faccia al loggiato che si chiamò delle Pappe, […] si presenta un grandioso e ricco palazzo moderno, costruito a uso della Banca Nazionale, dal bravissimo architetto Cav. Cipolla, il quale anche in questa sua grandiosa opera ha dato prova del non comune ingegno artistico, non che della sua vera perizia nel modo di costruire".

L'atrio

L'ingresso della Sede di Firenze si apre in un grande atrio che ricalca la simmetria della facciata ed è caratterizzato da un imponente soffitto ligneo a cassettoni in stile neorinascimentale sorretto da quattro colonne realizzate in pietra serena, pietra di cui si fa largo uso all'interno, così come in esterno.

Atrio monumentale con opera scultorea di Camillo Benso Cavour realizzata da Augusto Rivalta

Sul lato destro l'opera scultorea che rappresenta Camillo Benso di Cavour, mentre sulla sinistra si apre il portone di collegamento con l'atrio Donatello. L'opera marmorea dello scultore Augusto Rivalta (Alessandria, 14 marzo 1837 - Firenze, 14 aprile 1925), raffigurante Camillo Benso di Cavour, richiama il ruolo di rilievo avuto dallo statista piemontese convinto assertore della necessità dell'istituzione di una "Banca Nazionale" unica.

Lo scalone

L'architetto Antonio Cipolla esprime il suo massimo impegno tecnico e formale nella realizzazione del sontuoso scalone monumentale, che rappresenta un episodio autonomo rispetto al contesto in cui è inserito.

L'impianto decorativo è opera del decoratore e scenografo Girolamo Magnani (Borgo San Donnino, 23 maggio 1815 - Parma, 24 settembre 1889), che, oltre al Palazzo della Banca d'Italia di Firenze, dipinse e lavorò, tra l'altro, alla Sala dei Banchetti nel Palazzo del Quirinale a Roma, alla scenografia per la prima dell'Aida nel Teatro dell'Opera de Il Cairo tenuta il 24 dicembre 1871, chiamato da Giuseppe Verdi; oltreché alla Scala di Milano, curò le scenografie nei teatri di Londra, di Oporto, di Napoli, di Madrid, di Parigi, di Genova, di Treviso.

Particolare dello scalone monumentale

Il particolare effetto di sospensione che avvolge lo Scalone monumentale è stato creato poggiando l'intera struttura degli scalini (108) su tre sostegni: un massiccio basamento e due grandi mensole poste in corrispondenza degli ingressi dei due piani, di evidente stile rinascimentale. Il rivestimento pavimentale del vano ospitante la Scala ellittica è costituito da un armonico disegno con vari tipi di marmo: giallo siena, verde alpi, grigio bardiglio, rosso mogano.

La sala circolare al piano nobile

La Sala circolare al piano nobile è un ambiente particolarmente interessante che fu adibito a studio del Direttore Generale della Banca Nazionale nel Regno d'Italia, Carlo Bombrini (Genova, 3 ottobre 1804 - Roma 15 marzo 1882).

Particolare della volta decorata da Girolamo Magnani

Il locale a pianta circolare trova la sua massima espressione artistica nella volta decorata da Girolamo Magnani (Fidenza, 22 aprile 1815 - Parma, 24 settembre 1889), che si avvalse della collaborazione di Luigi Busi (Bologna, 8 maggio 1838 - 2 giugno 1884) per la medaglia allegorica centrale; l'ornamento dell’artista fidentino è ricco di putti, con fiori diversi nei fondi delle lunette e una doratura di singolare bellezza.

Il restauro

Il restauro della facciata monumentale della Sede della Banca d'Italia a Firenze arricchisce la città di un intervento strategico che, come afferma Luigi Donato, Capo Dipartimento Immobili e Appalti della Banca, "intende andare oltre al mero restauro per contribuire a valorizzare il patrimonio artistico presente in molte delle nostre Sedi". Il restauro del Palazzo, che si trova a poca distanza dalla Cattedrale di S. Maria del Fiore, ha restituito l'originale qualità all'architettura e al suo contesto urbano ma, soprattutto, ha introdotto innovazioni che ampliano gli orizzonti del dibattito sulle metodologie e tecniche di conservazione del nostro ricco patrimonio storico.

Nonostante non sia la prima volta che la facciata viene restaurata, è però la prima volta che la partitura architettonica viene riportata alla sua integrale leggibilità stilistico-cromatica. Un risultato frutto di ricerca e innovazioni che hanno generato un modello per le procedure di restauro di interesse nazionale.

Paramento in pietra calcarea prima e dopo l'intervento di restauro

Tutto questo è stato possibile grazie al Servizio Immobili della Banca che ha coordinato un team multidisciplinare composto dai propri tecnici e da rappresentanti di varie istituzioni quali l'Università, la Soprintendenza e operatori economici locali (professionisti e imprese) che hanno lavorato in simbiosi durante tutte le fasi del restauro, stabilendo un rapporto diretto tra 'cantiere' e 'laboratorio'. Questa integrazione di competenze ha permesso rilievi e indagini diagnostiche fondamentali per la più accurata catalogazione del litotipo, per la mappatura dei degradi, ma anche per l'individuazione dei prodotti più efficaci e a minore tossicità. I lavori, che si sono protratti per oltre dodici mesi e conclusi nel luglio 2015, sono stati eseguiti da ditte specializzate nel restauro dei materiali lapidei.

La collaborazione con l'Università di Firenze ha permesso di impostare la metodologia, dirigere le fasi propedeutiche e fornire un costante supporto bibliografico e di laboratorio al restauratore; si sono così testati nuovi prodotti, operate scelte e definito un protocollo di prassi e di ricerca che hanno concorso a definire la buona riuscita dell'intervento di restauro.

Non ultimo, sotto un profilo a maggior respiro culturale, l'importanza dell'intervento ha riaperto quel dibattito storico che dalla metà dell'Ottocento si identifica nelle due posizioni di Violet Le Duc e John Ruskin: il primo sostenitore della trasformazione, il secondo dell'autenticità irreversibile. Se Le Duc affermava che "restaurare un edificio non significa ripararlo né ricostruirlo, ma stabilire la sua ultima identità contemporanea", Ruskin rispondeva che "è impossibile restaurare un monumento storico come è impossibile risvegliare i morti". Due posizioni filosofiche estreme che, nel caso del restauro del Palazzo della Banca d'Italia, si sono stemperate nei criteri fondanti della Teoria del Restauro Critico di Cesare Brandi che sono la conservazione dell'autenticità dell'opera, la reversibilità degli interventi e la massima cura nell'eliminazione delle più gravi cause di degrado.

È di grande interesse che Firenze, città-patrimonio dell'UNESCO, attraverso il prestigio di un'Istituzione come la Banca d'Italia, rilegga il rapporto tra monumento e città e promuova la formulazione di nuovi modelli per le indagini propedeutiche e le soluzioni operative in cantiere.

Il materiale lapideo che caratterizza le cornici delle finestre, i marcapiani, i sottogronda e i bugnati della facciata è costituito da pietra arenaria; mentre i tamponamenti sono in pietra calcarea.

Particolare della facciata

La facciata si esprime quindi attraverso la bi-cromia di matrice brunelleschiana, che non può prescindere dal corretto contrasto cromatico tra i materiali che definiscono il linguaggio e l'identità stessa dell'architettura. L'esteso degrado era quindi particolarmente grave perché comprometteva la leggibilità dell'intero sistema a causa della presenza di patine cromatiche nerastre, croste indurite e macchie sulle arenarie, causate dalle diverse porosità superficiali e da trattamenti precedenti. Inoltre, si manifestavano distacchi e cadute di frammenti lapidei; fenomeni di esfoliazione interessavano la maggior parte della pietra arenaria e molto estesa era la presenza di depositi superficiali e di patina biologica.

Il LAM, laboratorio del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Firenze, si è occupato delle indagini diagnostiche mirate a definire le cause dei processi di degrado, probabilmente imputabili a un passato trattamento a base di acidi, che ha mutato le caratteristiche di igroscopicità e di capacità di assorbimento della pietra. Le maggiori criticità sono emerse proprio dall'individuazione e dalle modalità di rimozione di questi prodotti che hanno richiesto analisi con la tecnologia ATR-FTIR, spettroscopia vibrazionale che ha permesso di individuare le sostanze organiche applicate nei precedenti restauri, quali silicato di etile, polimeri fluorurati e prodotti, come il gesso, determinati dall'interazione tra il materiale lapideo e gli agenti atmosferici.

Dopo una prima pulitura con pennelli per togliere il pulviscolo secco, si è passati alla messa in sicurezza della facciata, con opere di preconsolidamento con microperniature in vetro resina e silicato di etile in emulsione acquosa a bassa percentuale che costituisce una importante novità nel panorama dei consolidanti a bassa penetrazione. Sono seguiti interventi mirati alla fermatura del materiale litoide quali preincollaggi e velinature di contenimento.

La pulitura si è svolta in fasi successive che hanno compreso: pulitura e rimozione di depositi, disinfestazione e disinfezione, idrolavaggio delle superfici in pietra, pulitura e impermeabilizzazione di pavimenti in pietra e balconi, pulitura chimica per l'eliminazione delle sostanze utilizzate durante l'ultimo restauro degli anni '90, interventi localizzati di ripristino e restauro delle parti lapidee attraverso l'utilizzo di pernio in acciaio, consolidamento dei manufatti lapidei, ripristino dei gocciolatoi dei balconi in pietra, revisione cromatica localizzata, trattamento protettivo finale.

Dopo un attento esame e specifiche indagini, la Banca in accordo con la Direzione Lavori, ha deciso di rimuovere lo strato superficiale di malta che mascherava il paramento in pietra calcarea. È così riemersa l'intensità materica della facciata e le originali lumeggiature della pietra con tonalità dal nocciola chiaro al terra di Siena, che si contrappongono al colore compatto della pietra serena. Contrasti cromatici cari alla tradizione architettonica fiorentina che fanno risaltare le profondità e le texture della trama dell'apparato architettonico così come progettato in origine. Con questo spirito di ricerca, il restauro ha rispettato la storia e anticipato il futuro.

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